Nella fredda steppa, sembra regnare il silenzio più assoluto.
Ma questa calma apparente viene saltuariamente interrotta dal passaggio di grandi bestie dalla folta pelliccia.
Mandrie di uri e bisonti cercano di che sostentarsi mentre la massiccia iena delle caverne, attirata a sua volta dalla presenza di potenziali prede, si fa strada attraverso il paesaggio innevato.
Ben presto anche un altro rumore, un ululato giunge a scuotere la gelida aria del territorio. A lanciarlo è stato un lupo adulto che, da una piccola conca di roccia, osserva con il suo sguardo penetrante quella che è sempre stata una sua nemica da quando si è stabilito nella valle.
Rispetto al lupo, la iena risulta grossa più del doppio ma per questa volta preferisce evitare lo scontro in quanto quell’avversario ora non è solo: accanto a lui, infatti, c’è la sua compagna mentre a poca distanza si aggira il resto del suo branco, orgoglio di tutti i giorni.
Ma la calma ristabilitasi dura poco, quando un altro lupo più giovane trottarella spavaldo tentando di importunare alcune femmine. Questo è troppo!
Impassibile, il maschio alfa lancia un altro lugubre ululato al cielo per poi dirigersi verso il rivale, deciso a dargli una lezione. Ringhiando, gli mostra i suoi scintillanti denti acuminati ed è sufficiente questo gesto ad impressionare il giovane esemplare, il quale come gesto di sottomissione abbassa la testa e le orecchie e mostra la coda fra le zampe.
L’alfa gli ringhia ancora addosso: non dovrà farlo mai più!
Dopodiché solleva il capo e ulula ancora a ribadire il suo dominio. Poi, il silenzio torna a regnare in quelle terre, per ora…
Questo è un probabile scenario che avrebbe potuto avere luogo a Monte di Malo durante il Pleistocene superiore (115.000–11.700 anni fa), epoca in cui gran parte dell’emisfero settentrionale era coperto da un vasto ghiacciaio continentale che si estendeva fino all’arco alpino: la località si trovava allora ai margini di questa coltre ghiacciata ed era caratterizzata da un paesaggio simile alle attuali steppe siberiane.
Frequentata da grandi erbivori, molti dei quali ora estinti, era un ambito territorio di caccia per branchi di lupi i cui discendenti si trovano principalmente sulle montagne.
Reperti ossei di questi “canidi dei ghiacci” sono stati ritrovati in tutta l’area vicentina tra cui frammenti di ulna e radio (componenti dell’avambraccio) di un esemplare rinvenuto negli anni ’50 presso la cava Panizzoni di Monte di Malo e ora esposti presso il museo del Priaboniano.
L’UNIONE FA LA FORZA
Il lupo grigio (Canis lupus) che tutti conosciamo è un canide lungo 1,5-1,8 metri e pesante dai 25 ai 38 kg, ricoperto da un fitto pelo con colori variabili dal grigio pallido al marrone e con un collo forte e tozzo.
Nonostante presenti orecchie più corte rispetto a quelle di altri canidi, ha in comune con i suoi parenti mascelle e denti capaci di rosicchiare le ossa e una struttura scheletrica adatta alla resistenza che gli permette di correre per lunghi tratti anche a 50-60 km/h.
Un’altra sua caratteristica distintiva riguarda la sua struttura sociale: alcune ricerche etologiche hanno dimostrato quanto la cooperazione e il coordinamento reciproco siano essenziali all’interno dei branchi unifamiliari dove il lupo di solito vive e hanno sfatato le vecchie convinzioni secondo cui nel branco la violenza era la regola (teoria basata più su osservazioni in cattività che non su ricerche sul campo).
In genere, i lupi sono monogami e la coppia alfa resta insieme per tutta la vita: le femmine partoriscono 5 o 6 cuccioli alla volta, i quali raggiungono la maturità tra gli 1 e i 3 anni.
I branchi sono spesso composti da un massimo di 11 membri che tendono a difendere il proprio territorio attraverso tracce odorose e comunicazione sonora (ululati) sebbene talvolta ciò possa sfociare in lotte con gruppi rivali.
Ma la cooperazione diventa palese soprattutto quando i lupi si riuniscono per la caccia, riuscendo in alcuni casi ad abbattere animali di grandi dimensioni compensando così il solo utilizzo delle fauci in assenza di artigli altrettanto letali.

TREMENDI NEMICI E STRANI ALLEATI
Durante il Miocene, le praterie e le foreste del Nord America erano diventati luogo di caccia per branchi di Eucyon e Canis lepophagus, entrambi della taglia di un coyote.
Tra il tardo Miocene e l’inizio del Pleistocene, canidi affini ma dalle dimensioni maggiori giunsero nel Vecchio Mondo attraversando a più riprese la Beringia come fecero il lupo etrusco (Canis etruscus) e il lupo di Dmanisi (Canis borjgali).
In età post-galeriana (da 1,82 milioni di anni fa), al cosiddetto “Wolf Event” prese parte anche l’enigmatico lupo di Mosbach, da alcuni considerato come una specie a sé (Canis mosbachensis?) mentre secondo altri sarebbe addirittura una forma primitiva del lupo grigio (Canis lupus mosbachensis?).
Ad ogni modo, è in questo momento che si possono finalmente riconoscere i tratti del lupo grigio e la sua presenza si fa ancora più concreta nel medio Pleistocene, arrivando a comprendere anche un cranio datato a 407.000 anni fa ed estratto dai sedimenti vulcanici di Ponte Galeria (Lazio).
In Siberia e in Nord America si conoscono persino esemplari mummificati come nel caso di Zhùr, una lupacchiotta di 57.000 anni fa rinvenuta tra i ghiacci dello Yukon (Canada) e appartenente ad una sottospecie ormai scomparsa.
Resti di altre sottospecie, già allora numerose a livello regionale (come il robusto Canis lupus maximus, diffuso in Francia e nell’Italia settentrionale) sono stati spesso ritrovati all’interno di grotte e presso aree dove abbondavano erbivori di grossa taglia come il bisonte della steppa e l’uro.

Dove c’erano grandi prede c’erano, però, anche grandi predatori e nella caccia in branco la massiccia e aggressiva iena delle caverne non aveva rivali ma non scherzavano neppure varie specie di canidi di grossa taglia imparentati con gli attuali sciacalli e licaoni e ora estinti.
Non potendo primeggiare fisicamente su di loro, i lupi finirono per puntare su prede più piccole e agili ed, eventualmente, sulle carcasse lasciate in giro da tali avversari.
Ma anche così, il pasto non era sempre assicurato.
Infatti, capitava di dover contendere le proprie prede anche con altri cacciatori ancora più insoliti che, come loro, avevano appreso i vantaggi della collaborazione di gruppo: gli umani.
Lupi e uomini preistorici si sono spesso uccisi a vicenda eppure, fra i primi, ci fu chi ebbe l’intuizione giusta per spuntarla: forse, certi esemplari girovaghi e intraprendenti, seguendo le tribù di quegli strani primati bipedi, capirono che poteva essere vantaggioso cibarsi dei loro avanzi senza dover ricorrere a esibizioni di aggressività.
A loro volta, gli uomini compresero che si sarebbe potuto trarre beneficio da un’eventuale “alleanza” con questi predatori, i cui sensi raffinati permettevano loro di stanare le prede più sfuggenti e di individuare belve o possibili nemici intenti ad avvicinarsi ai villaggi.
Il continuo incrocio tra animali sempre più mansueti e collaborativi decretò infine l‘origine del cane domestico, le cui differenze genetiche restano talmente irrilevanti rispetto a quelle del lupo grigio da venire classificato come una sua sottospecie (Canis lupus familiaris).
Questo tipo di selezione artificiale si è ampliato ulteriormente negli ultimi due secoli e continua tutt’ora, generando molti individui con forti tratti “da cucciolo” senza che questi raggiungano mai a pieno la maturità fisica e cerebrale dei loro parenti selvatici. Può comunque capitare che lupi e cani arrivino ad assomigliarsi ma a distinguerli è la presenza di bande verticali scure presenti soltanto sulle zampe posteriori dei primi.
IL LUPO OGGI

Giungendo al lupo grigio, esso si è ormai imposto come uno dei principali superpredatori nel continente europeo dalla scomparsa della sua antica nemica, la iena delle caverne, avvenuta assieme al resto della megafauna dalla quale dipendeva.
Invece, il lupo è riuscito ad arrivare ai giorni nostri e probabilmente la spiegazione potrebbe risiedere nel suo ampio corredo genetico, dovuto ai continui incroci fra le varie sottospecie (cani inclusi), e in una sorprendente plasticità ecologica.
Infatti, gli studi hanno riscontrato proprio nei lupi una notevole capacità di sfruttare con una certa intelligenza ogni risorsa alimentare disponibile arrivando ad includere nel suo “menù” persino i pesci e le vongole nelle isole più remote.
Ciò nonostante devono comunque competere con l’orso bruno, che può facilmente rubar loro le prede.
E nemmeno con l’uomo i rapporti sono sempre stati dei migliori nei tempi storici: nel XIX secolo e nella prima metà del XX, il lupo fu al centro di una caccia sconsiderata che rischiò di mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’intera specie ma, a partire dagli anni ’50, una maggiore coscienza ambientale da parte di scienziati, politici e persone comuni e un sostanziale abbandono delle aree rurali hanno permesso a questi animali di riprendersi un po’ ovunque.
Nonostante certi problemi di convivenza siano rimasti, oggi si è più consapevoli dell’importante ruolo ecologico svolto dal lupo grigio in quanto mantiene sotto controllo le popolazioni di cinghiali e ungulati che, altrimenti, prolifererebbero in modo eccessivo.
E i fossili dei loro antenati, compresi quelli custoditi nella vetrina del museo del Priaboniano, sono lì a testimoniare il remoto passato di questi formidabili cacciatori venuti dalle desolate lande di un mondo ghiacciato.
Testo di Lorenzo De Vicari e Thomas Marchiorato.
Illustrazione di Lorenzo De Vicari, a nome di Fumetti Fossili, pagina a tema paleontologico disponibile sia su Facebook che su Instagram.



Bel racconto delle vicende del lupo nel corso della storia ed illustrazioni efficaci. Grazie
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