Situata lungo il versante sud-occidentale dei Monti Berici (Orgiano, Vicenza), la Collina di San Feliciano è conosciuta soprattutto per le sue cave di marmo.
Ma la fredda pietra della zona aveva in serbo altre sorprese quando nel 1911 venne rinvenuto il fossile di un granchio estinto (Phlyctenodes dalpiazi), attualmente conservato nella collezione paleontologica dell’Università di Padova.
Negli anni la località ha restituito un gran numero di crostacei provenienti principalmente da una specifica formazione calcareo-marmosa di origine corallina e denominata “Formazione di Priabona” in riferimento all’età priaboniana a cui appartengono.
Lungo le sponde della laguna veneta, simili esserini, a caccia di prede ancora più piccole, rappresentavano a loro volta dei succulenti bocconcini per i pesci e, magari, per qualche prominaterio (piccolo mammifero semiacquatico con abitudini simili a quelle dei cinghiali) come quelli scoperti a Grancona.
Ora, invece, sono i paleontologi a “cacciarli” seppur per scopi ben diversi e fra di loro troviamo Antonio De Angeli che, dal 2002, ha identificato alcuni di questi antichi crostacei, ascrivibili principalmente ai decapodi proprio come i nostri granchi e gamberi.
Ma poi arrivò l’eccezione alla regola quando il suo amico e collega Alessandro Lovato rinvenne, ancora fuso nella pietra calcarea, un crostaceo incredibilmente minuscolo e dalle caratteristiche riconducibili a quelle dell’onisco, un animaletto che notoriamente vive ben lontano dall’acqua.
Eppure, proprio come quest’ultimo, lo Sphaeroma gasparellai (questo è il suo nome scientifico) era un isopode.
CARATTERISTICHE DEGLI ISOPODI
Gli isopodi sono un ordine di crostacei che attualmente comprende circa diecimila specie: molte di esse strisciano sui fondali marini, altre prediligono le acque dolci o si aggirano nelle grotte e altre ancora, come l’onisco (Armadillidium vulgare), si muovono all’aria aperta durante la notte per poi rintanarsi sotto le rocce o in recessi umidi di giorno.
Ad accomunarli è la struttura corporea larga, protetta da un esoscheletro chitinoso e suddivisa in precise sezioni.
Il capo (che negli artropodi è detto cephalon) include anche il primo segmento del torace e presentano due paia di antenne e un apparato boccale con un paio di mandibole e tre paia di mascelle.
Il torace (pereion) comprende altri sette segmenti (pereoniti) ma liberi e, a partire dal secondo di questi, cui sporgono sei paia di somiti toracici (piastre coxali) che proteggono dodici delle quattordici zampe sottostanti, tutte uguali fra loro (da qui il nome isopode, ovvero “piede uguale”).
L’addome (pleion) porta una serie di appendici (uropodi) che, nelle specie acquatiche, fungono sia per la respirazione branchiale che per la locomozione.
Poiché gli ultimi segmenti del pleion (pleoniti) sono spesso fusi con la coda (telson), quest’ultima prende talvolta il nome di pleotelson.
Di solito, le dimensioni di questi invertebrati sono davvero minuscole, con misure che variano da una lunghezza minima inferiore al millimetro a un massimo di 5 cm.
Ciò non vale per l’isopode gigante (Bathynomus giganteus) per via dei suoi 50-76 cm di lunghezza: attualmente questo mostriciattolo dimora negli abissi dell’Oceano Pacifico dopo che i suoi antenati avevano a lungo bazzicato anche in altre parti del mondo, compresa l’area mediterranea come indicano alcuni fossili dell’Oligocene rinvenuti in Italia in un ottimo stato di conservazione.
Lo stesso non si può, però, dire per altre forme fossili in quanto estremamente fragili a causa delle loro ridotte dimensioni e non sorprende che nella regione veneta ci siano voluti ben 150 anni per identificare sette specie di isopodi vissute tra l’Eocene e l’Oligocene inferiore (tra 56 e 28 milioni di anni fa circa).
I primi cinque a venire scoperti furono rispettivamente Palaega catulloi della Collina di Albettone (Vicenza) e del Monte Ricco (Colli Euganei, Padova), Palaega acuticauda, Heterosphaeroma veronensis e Sphaeroma sp. della Pesciara di Bolca (Verona) e Cirolana fabianii di Perarolo (Monti Berici, Vicenza).
La settima specie, Dynamenella miettoi, proviene invece da Cornedo Vicentino (Vicenza) ed è stata ritrovata nel 2011.
UN OMAGGIO PRIABONIANO
Sphaeroma gasparellai del tardo Eocene (35 milioni di anni fa) rappresenta, dunque, la sesta specie di isopode veneto rinvenuto allo stato fossile: descritto nel 2009 da Antonio De Angeli e Alessandro Lovato, è stato chiamato così in omaggio a Renato Gasparella, fondatore del Museo del Priaboniano e figura rilevante per la paleontologia del territorio vicentino.
Se le piccolissime dimensioni dell’esemplare rientrano nella norma (appena 6,5 millimetri di larghezza), la sua unicità risiede nel modo in cui si è fossilizzato, in una posizione arrotolata che lo ha reso osservabile sia dorsalmente che lateralmente dopo essere stato isolato dalla sua matrice.
Inoltre, ciò denota un comportamento di difesa tipico di onischi e altri isopodi che, in caso di pericolo, tendono a richiudersi su sé stessi lasciando sporgere soltanto le resistenti piastre coxali.
A causa della posa assunta, il capo e gli uropodi non sono riconoscibili in quanto inglobati nella roccia ma il resto del corpicino è sorprendentemente intatto.
Il pleotelson presenta un margine arrotondato mentre nel pleion, corto e ampio, si possono distinguere cinque pleoniti saldati tra loro e provvisti di suture laterali (caratteristica comune negli isopodi della famiglia degli Sphaeromatidae). Curiosamente sia il pleion che i pereoniti e le piastre coxali mostrano file di singolari tubercoli.
TRA PASSATO E PRESENTE
Proprio il pleotelson largo e arrotondato e i tubercoli sparsi sul pereion erano tratti peculiari dello Sphaeroma gasparellai che lo distinguevano non soltanto dallo Sphaeroma di Bolca, più allungato e liscio e con segmenti toracici più stretti, ma anche da altre forme fossili affini come lo Sphaeroma weinfurteri ben documentato in Germania nel Miocene medio (16-11 milioni di anni fa).
Tra i suoi corrispettivi odierni queste ornamentazioni sono una caratteristica esclusiva della specie Sphaeroma walkeri.
Scoperto per la prima volta nel 1905, questo curioso “onisco acquatico” è nativo dell‘Oceano Indiano ma nel giro di un secolo si è espanso anche nel Mediterraneo e lungo le coste dell’America centro-meridionale sebbene, a differenza di altre specie invasive, non rappresenta una vera minaccia essendo un semplice detritivoro.
In questo animaletto i tubercoli sono disposti lungo il pereion ma si differenzia dal suo parente preistorico da altre due paia di file longitudinali di grossi tubercoli posti sul pleotelson.
Nonostante ciò, la somiglianza tra i due crostacei è tale da ipotizzare che l’isopode di San Feliciano conducesse una vita analoga, aggirandosi in acque poco profonde alla ricerca di materiali organici in decomposizione di cui cibarsi.
Ma se il suo simile attuale può permettersi di stare aggrappato sul fondo di barche e boe, lo Sphaeroma gasparellai doveva insinuarsi tra le rocce, il legno marcio e le incrostazioni di alghe, coralli e muschi arrivando talvolta ad affacciarsi fuori dal pelo dell’acqua.
Durante le sue innocue scorribande, doveva solo stare attento alle chele di eventuali assalitori come il Petrolisthes bittneri, un parente estinto del granchio porcellana, ma a quel punto bastava appallottolarsi per convincere l’avversario a non mangiarlo.
Una cosa che non si sognerebbero mai di fare i visitatori del Museo Civico G. Zannato (Montecchio Maggiore, Vicenza) dove si trova ora questo timido spazzino pietrificato, esposto con buona parte del suo mondo.
Illustrazione e testo di Lorenzo De Vicari a nome di Fumetti Fossili, pagina di paleo-media visitabile sia su Facebook che su Instagram.
Uno speciale ringraziamento a Antonio De Angeli e Alessandro Lovato la cui pubblicazione scientifica in merito ha fornito gli spunti necessari per la preparazione di questo articolo.
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