Adagiato sulla dorsale collinare che separa la Val Leogra dalla Valle dell’Agno, Monte di Malo è il tipico comune italiano della provincia di Vicenza con le sue frazioni e le sue contrade.
Ma se qualcuno avesse ripercorso il passato preistorico della zona, ad un certo punto, si sarebbe ritrovato a nuotare tra squali mostruosi, placidi sirenidi e un’incredibile fauna che cercava di sopravvivere in un territorio che stava lentamente emergendo dalle acque di un antico mare.
I loro fossili hanno permesso di delineare una certa immagine di come doveva essere il panorama locale di 35 milioni di anni fa.
LO STRATOTIPO DI PRIABONA
Si era allora nell’età priaboniana, cioè nell’ultima fase dell’Eocene (56-33,9 milioni di anni fa), il secondo periodo del Paleogene, che assieme al precedente periodo Paleocene (iniziato circa 66 milioni di anni fa) e al seguente Oligocene rappresentano la prima parte dell’era Cenozoica.
L’istituzione del Priaboniano risale al 1893, quando due geologi francesi, Ernest Munier-Chalmas ed Albert Auguste Cochon de Lapparent proposero alla comunità scientifica internazionale la validità come mezzo di datazione dello stratotipo di Priabona, frazione situata proprio a Monte di Malo.
Nel 2010 è stato scoperto il GSSP (punto di inizio) del Priaboniano alla base di un affioramento riscontrato ad Alano di Piave, in provincia di Belluno, a partire da un livello cineritico.
Ciò ha permesso, nel 2020, di stabilire con precisione la collocazione temporale di questo sottoperiodo dell’Eocene da parte della comunità scientifica.
Tutt’ora il Priaboniano, che va da 37,71 a 33,9 milioni di anni fa, è rappresentato dal punto di vista geologico dallo stratotipo di Priabona e dal GSSP di Alano di Piave in quanto costituiscono un importante punto di riferimento per ricercatori e studiosi necessario al riconoscimento dell’età di rocce analoghe in tutto il mondo nonché come riferimento per la descrizione paleontologica e geologica di tale età.
In particolare le caratteristiche che hanno permesso di identificare lo stratotipo rinvenuto a Priabona sono da riscontrarsi nella composizione litologica, formata da una marna grigio-azzurrina spessa circa 300 m, detta Marna di Priabona o Marna a Briozoi, e dal suo peculiare contenuto fossilifero, in cui abbondano briozoi, foraminiferi, bivalvi, crostacei, policheti, ricci di mare e persino denti di squalo.
Da questi elementi e da altri ritrovamenti avvenuti nella regione veneta, i paleontologi hanno potuto ricostruire l’ambiente di Monte di Malo in quella fascia temporale del periodo eocenico.
TRA MARI E MONTI
Una catena di scogli, rupi e monti emergenti delimitavano quello che era ancora un sistema di isole a lungo caratterizzate da intense eruzioni vulcaniche ma che, proprio con l’età priaboniana, erano giunte ad una momentanea fase di stasi.
L’acqua era dappertutto: un’estensione della Tetide, costituita da un mare tropicale e poco profondo (tra i 50 e i 300 m per una temperatura media di 25-30° C) divideva quei lembi di terra, sostenuti da biocostruzioni algari, che circondavano una grande fossa inclinata sul fondale fangoso, il Semigraben dell’Alpone-Agno.
Questa struttura si era originata in seguito a precedenti eventi tettonici e racchiudeva al suo interno il fermento di quella stessa attività vulcanica destinata a riprendersi da un momento all’altro.
Ignari di questi tumulti geologici in atto, molte creature marine trovavano il proprio sostentamento nel fondale e lungo le scarpate delle isole sovrastanti, dove crescevano veri e propri “prati” di alghe calcaree.
L’ambiente acquatico era costellato da radi coralli e da strutture biologiche realizzate talvolta da organismi unicellulari come i foraminiferi Discocyclina e Asterocyclina, altre volte da minuscoli invertebrati come i briozoi.
Sul suolo fangoso si faceva strada la curiosa Turitella, un gasteropode con un guscio a spirale molto diffuso nei mari di tutto il mondo durante il Cenozoico.
C’erano poi ricci di mare del genere Coelopleurus e, soprattutto, numerosi policheti.
Questi anellidi, così come i loro discendenti odierni, erano soliti rintanarsi sotto la sabbia o, in alternativa, avvolgersi in tubi protettivi: è il caso della Serpula, i cui tubi, da dove il verme in questione faceva sporgere le proprie corone tentacolari per respirare e alimentarsi, si sono conservati allo stato fossile.
Tipico della regione era l’Harpactoxanthopsis, un granchio preistorico che a Priabona condivideva il proprio spazio vitale con altre forme di crostacei come il minuscolo Sphaeroma gasparellai chiamato così in onore di Renato Gasparella, il fondatore del museo di Priabona.
Numerosi, poi, i bivalvi fra cui l’Ostrea lamellosa, che si trovava in prossimità della superficie, mentre lo Spondylus, dotato di peculiari spuntoni sul guscio, e il più comune Chlamys biarritzensis erano appostati principalmente in profondità.
Queste distese fangose fornivano nutrimento ai vari pesci che giungevano fin lì dai vari angoli della Tetide fra cui Ittiodon, una razza alla costante ricerca di granchi e bivalvi di cui cibarsi, e un’antica forma di sarago (Diplodus sp.).
Senza poi contare i pesci palla eocenici che già avevano lasciato traccia di sé nei sedimenti della famosa Pesciara di Bolca (Verona).
Il pesce più sgargiante allora in circolazione era il Prevolitans faedoensis, un pesce dotato di ampie pinne pettorali che venivano dispiegate come difesa visiva contro i predatori più voraci. Vagamente simile alla gallinella volante orientale, questo campionario di stravaganza prediligeva starsene nelle aree costiere, nuotando a ridosso dai bassi fondali delle aree costiere
Più diffuso in direzione del mare aperto era, invece, l’Archaeus, un lontano parente della ricciola rispetto al quale aveva occhi più grandi e sporgenti, bocca ridotta e una pinna dorsale più prominente. Con una lunghezza di circa mezzo metro, sarebbe stato poco più che uno spuntino per i giganti da incubo che infestavano quelle antiche acque.
UN “MEGALODONTE” VICENTINO
Il più brutale e temibile abitante della colonna d’acqua era un mostruoso squalo imparentato con il ben più famoso megalodonte: era l’Otodus sokolovi, detto anche squalo di Priabona in quanto simbolo del suo museo, istituito nel 1990 proprio in merito all’importanza geologica del suo attuale territorio.
Lungo fino a 9 metri (contro i 4-6 di un grande squalo bianco dei giorni nostri), era dotato di micidiali denti dalla punta a scalpello capaci di frantumare le ossa delle sue sventurate vittime.
Ma i terreni della località di Monte di Malo hanno anche restituito le ossa di un placido mammifero acquatico: il prototerio (Prototherium sp.), un sirenide di 2 metri e mezzo.
Con le zampe divenute vere e proprie pinne, questo erbivoro richiamava vagamente i dugonghi ma presentava una corporatura più snella ed è probabile che, proprio come i suoi cugini odierni, si muovesse in piccoli gruppi quando doveva inoltrarsi nelle aree di caccia dei suoi nemici naturali.
VERSO L’OLIGOCENE…
Tutte quelle conchiglie e quei pesci preistorici conservatisi allo stato fossile e ora custoditi al museo del Priaboniano sono la testimonianza di quanto il paesaggio locale abbia subito una profonda trasformazione negli ultimi 35 milioni di anni.
Con la fine del Priaboniano si arrivò al termine dell’Eocene e al passaggio all’Oligocene (33,9-23,03 milioni di anni fa) e a Monte di Malo questo cambiamento avvenne nella maniera più brusca possibile con una violenta ripresa dell’attività vulcanica: sulle isole che circondavano la fossa fiammeggianti vulcani tornarono ad illuminare le tenebre con le loro eruzioni di lava e lapilli.
Nella laguna sottostante, invece, la vita animale continuava a prosperare ma le cose stavano cominciando a mutare: alla fine del Priaboniano, il clima aveva cominciato gradualmente a raffreddarsi come conseguenza della formazione dei ghiacciai nella lontana Antartide e della conseguente variazione delle correnti marine.
Il 20% della caratteristica fauna priaboniana subì un ricambio con specie più adattabili di fronte a un clima più freddo e ciò sembra aver favorito la formazione, durante l’Oligocene, di una barriera corallina simile a quella australiana nell’antica area costiera di Priabona.
Tuttavia, nel frattempo, il mare si stava ritirando verso est sia per effetto della progressiva deposizione di materiale detritico che per quella stessa fase di raffreddamento che sarebbe, infine, culminata con le grandi glaciazioni del Pleistocene (2,58 milioni-11.700 anni fa).
Ma questa è un’altra (prei)storia che meriterà un ulteriore capitolo…
Illustrazione e testo di Lorenzo De Vicari a nome di Fumetti Fossili, pagina a tema paleontologico visitabile sia su Facebook che su Instagram.
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